I disturbi depressivi: focus sulla depressione

PREMESSA

Sin dalla nascita ognuno di noi è posto di fronte alla necessità di affrontare continuamente dei cambiamenti: lasciare i vecchi oggetti d’ amore per far posto ai nuovi ma senza perdere i primi, che rimangono dentro di noi sotto forma di ricordi.

Questo percorso non è privo di difficoltà: nostalgia, lutto, depressione e malinconia possono contrassegnare inesorabilmente alcuni momenti della nostra vita.

Gli stati depressivi e malinconici, in particolare, oltre ad essere caratterizzati dall’umore triste, sono accompagnati da sentimenti di vuoto e da una riduzione e perdita degli abituali interessi.

La persona vive una condizione di tristezza, di pessimismo, di scoraggiamento fino a sperimentare gravi sentimenti di disperazione, e non appare più in grado di trarre piacere dalle sue normali attività.

Allo stato depressivo si associano facilmente stati di ansia, di angoscia, irritabilità, disturbi del sonno, dell’alimentazione, ed un generale rallentamento delle funzioni intellettuali, con particolare riferimento alle capacità di attenzione e di concentrazione.

Le persone depresse inoltre risultano spesso fortemente autocritiche, esagerano i loro difetti e manchevolezze ed al contempo svalutano se stessi, la loro vita.

La presenza di uno stato depressivo può segnalare pertanto allo psicologo uno stallo della persona lungo il suo percorso di vita a causa di una sua pregressa fragilità, di una sua difficoltà ad elaborare i distacchi, i lutti, o le necessarie rinunce a desideri e ambizioni che a volte la realtà impone.

La depressione rappresenta inoltre la prima causa di malattia della donna e la terza causa nell’uomo.

I DISTURBI DEPRESSIVI

Vi sono due tipi di depressione comunemente classificati come:

  • Disturbo depressivo maggiore
  • Disturbo distimico (depressione nevrotica, depressione lieve)

Esistono altri disturbi depressivi legati a specifiche situazioni esterne, quali la presenza di una malattia, l’uso di sostanze, ecc…

Nel disturbo depressivo maggiore l’umore – fortemente depresso – si accompagna ad una riduzione importante o ad una perdita di qualsiasi interesse e piacere per le cose che lo circondano, e più in generale per la sua vita.

Il paziente con depressione maggiore è un paziente che esprime sentimenti di scoraggiamento, di pessimismo e, frequentemente, di disperazione. Il lavoro, la vita sociale, le sue relazioni, gli svaghi, gli appaiono privi di senso, di scopo, ed egli sente di trovarsi come in una condizione di attesa, di tensione e di inquietudine.

A questo stato psicologico si accompagnano frequentemente sintomi fisici, quali, ad esempio:

  • l’astenia (perdita di vitalità, energia)
  • la cefalea
  • l’inappetenza (in alcuni casi iperfagia)
  • l’insonnia, soprattutto mattutina

L’attività del pensiero appare rallentata e scarna con un eloquio essenziale: poche parole, pochi concetti, mentre a volte la difficoltà a pensare si manifesta con un senso di confusione rispetto a ciò che vorrebbe esprimere.

Il paziente depresso ha difficoltà di attenzione e concentrazione. Anche la motricità appare molto rallentata, e ciò si manifesta soprattutto a livello della gestualità e della mimica.

A lungo andare, a questo stato psichico si assoceranno anche sentimenti di noia, di solitudine, di vuoto, e poi vissuti di colpa, di auto-svalutazione, fino a sentimenti di totale fallimento in relazione alla propria vita. In alcuni casi possono comparire idee di suicidio.

La depressione melanconica rappresenta una forma depressiva particolarmente grave.

In questi casi il sentimento del tempo nel paziente melanconico assume un particolare valore, perché viene vissuto come un tempo sospeso, immobile, e che annulla ogni possibilità di movimento.

È una esperienza del tempo, questa, nella quale la persona si sente come ingabbiata ed incapace ad uscirne; è una esperienza del tempo dove il prima e il dopo perdono ogni loro significato.

Il paziente melanconico vive dentro di sé una sorta di impotenza, di immobilità esistenziale a rimettere in moto anche un minimo senso di vitalità dentro di lui.

Nella depressione melanconica si forma come un deserto emozionale dentro il paziente, al punto tale che non attecchisce più nemmeno il pianto, il dolore, e dove ogni emozione appare spenta.

Le persone vicine al paziente melanconico ora possono apparirgli come lontane, estranee, e non più riconosciute nella loro dimensione familiare ed affettiva. In tale contesto di cose il suicidio viene vissuto proprio come un evento che libera l’individuo dall’insopportabile peso dell’esistenza e dalla sua angoscia di vivere.

Come abbiamo visto, nella depressione vera noi abbiamo una compromissione di tutte le funzioni vitali della persona, quali appunto il sonno, l’alimentazione, il movimento, il pensiero, le relazioni interpersonali e sociali.

Il secondo tipo di disturbo dell’umore, il disturbo distimico, è rappresentato da una sintomatologia simile a quella vista prima, meno grave, meno lontana dalla realtà ma cronica.

Per fare diagnosi di disturbo depressivo distimico i sintomi depressivi devono essere presenti da almeno due anni, anche se è ammesso qualche intervallo libero di non più di due mesi durante questo arco di tempo.

Il carattere “premorboso” nella distimia

Nella condizione distimica sembra che un ruolo importante venga giocato dal temperamento affettivo che la persona possedeva già prima, in età precoce, e caratterizzato da frequenti sentimenti di tristezza, da bassa autostima e da insicurezza.

È facile che un tale carattere di base possa evolvere in una condizione depressiva di tipo distimico.

In alcuni casi il disturbo depressivo maggiore può trasformarsi in un disturbo distimico, e protrarsi così nel tempo in una forma più cronicizzata. Più serio è il quadro di un disturbo distimico, quindi più lieve e cronico, che si acutizza e si trasforma in un disturbo depressivo maggiore (più difficile la terapia, il trattamento).

ALCUNI DATI STATISTICI SULLA MALATTIA DEPRESSIVA

Secondo uno studio europeo ESEMeD (Studio Europeo di epidemiologia dei disturbi mentali –  European Study of the Epidemiology of Mental Disorders) in Italia la probabilità di ammalarsi nell’arco della vita di depressione maggiore e di distimia è dell’11,2% di cui:

  • il 14,9% nelle donne ( fra il 10-25%)
  • il 7,2% negli uomini (fra il 5 – 12%)

Ciò indica che queste persone avrebbero sofferto almeno una volta, nel corso della loro vita, di un episodio depressivo.

L’OMS valuta che nel mondo circa il 27% di tutte le malattie mentali sono di natura depressiva.

Se restringiamo il campo ai paesi occidentali e alla fascia di età fra i 15 e i 44 anni, fra tutte le principali cause di malattia (fisiche e psichiche), la depressione maggiore è:

  • al primo posto per le donne
  • al terzo posto per gli uomini (al primo posto dipendenza da alcol)

I fattori di rischio di tipo sociale sono dunque:

  • Sesso femminile
  • Età fra i 25 e 40 anni
  • Status socio economico basso
  • Residenza nelle città o grandi città.

Risulterebbe inoltre che anche il 2% dei bambini e il 4% degli adolescenti avrebbero sofferto, nel corso di un anno, di un episodio di depressione. Anche per quanto riguarda la percentuale di nuovi casi di depressione in un anno, quella femminile è circa il doppio di quella maschile (1.98 – 1.10).

Nella popolazione anziana (over 65) il numero di anziani sofferenti di depressione è destinato a salire per il progressivo invecchiamento della popolazione.

Dai dati di una ricerca italiana emerge che oltre due persone su dieci (21,6%) degli over 65 hanno riferito sintomi importanti di depressione e che questi sintomi aumentano nelle persone con più di 75 anni di età, mentre nelle persone anziane istituzionalizzate la percentuale sale anche al 40%.

Ricordiamo qui come a volte nell’anziano la depressione si presenta a volte con una sintomatologia che può far pensare ad una iniziale demenza (pseudo-demenza), e dunque è necessario una diagnosi differenziale da parte dello specialista.

Nella popolazione media invece, alcune volte, la depressione può apparire come” mascherata”, nel senso che si presenta con sintomi somatici “equivalenti”.

I FAMILIARI COINVOLTI

La depressione è fonte di sofferenza, oltre per chi ne è affetto, anche per i familiari e, tenendo conto che, per ogni paziente, sono coinvolti almeno due-tre familiari, il numero delle persone coinvolte indirettamente dal disturbo depressivo è di 4-5 milioni.

RICADUTE DOPO IL PRIMO EPISODIO DEPRESSIVO

Le statistiche dicono che, se una persona ha avuto un episodio depressivo, ha il 50 per cento di probabilità di averne un altro nell’arco della sua vita, e dopo 3 o 4 episodi depressivi è praticamente sicuro che la persona continuerà ad avere episodi depressivi nell’ arco della sua vita e con ricadute ad andamento prevalentemente stagionale, che sono statisticamente più frequenti nei mesi di marzo-aprile e ottobre-novembre.

SINTOMI DEPRESSIVI E ANSIOSI

Nel 50% dei casi ai sintomi della serie depressiva si associano quelli della serie ansiosa.

RISCHIO ANTICONSERVATIVO (SUICIDO)

Secondo gli ultimi dati disponibili dell’Organizzazione mondiale della Sanità, i suicidi in Italia sono stati 4115, e rappresentano circa il 15% delle persone che soffrono di depressione grave.

La categoria più a rischio suicidio:

  • anziani sopra i 65 anni, specialmente se vedovi e socialmente isolati
  • fenomeno in preoccupante aumento nella fascia tra i 15 e i 24 anni di età

Secondo una statistica fornita del prof. Pietropolli Charmet, nel periodo adolescenziale il suicidio è la prima causa di morte.

LE CAUSE GENERALI DELLA DEPRESSIONE

La depressione pur essendo ritenuta una malattia con una importante componente genetica, questa, da sola, non appare in grado di spiegare la grande varietà dei sintomi e dei diversi andamenti che caratterizzano ogni specifico stato depressivo.

Pertanto, oltre alla componente genetica o familiarità, si ritiene che altri fattori concorrono in eguale misura, o perlomeno con pesi diversi a seconda dei casi, nel determinare o favorire un evento depressivo, quali:

  • le vicissitudini psicologiche e relazionali sperimentate dal soggetto nel corso della sua vita
  • l’ambiente familiare e sociale che ruota attorno al soggetto stesso

Si può pensare a queste tre tipologie di fattori di rischio come a degli ingredienti che possono essere presenti in maniera diversa, dando luogo a quadri depressivi diversificati, e con esordi depressivi a loro volta altrettanto diversificati.

ALCUNI FATTORI SCATENANTI

La depressione a volte può essere favorita da un periodo prolungato di stress esasperato, dalla presenza di malattie organiche o da vicissitudini esistenziali intensamente dolorose.

Un abuso protratto di alcolici o di droghe possono “slatentizzare” una tendenza depressiva che era rimasta nascosta o “curata” proprio in quel modo.

Fattori psicosociali come la presenza di un lutto, una separazione da una persona amata, uno stato di disoccupazione, ma anche un isolamento sociale e affettivo possono favorire la comparsa di depressione.

LA DEPRESSIONE FEMMINILE

Come dicevamo prima le donne, soprattutto nella fascia di età compresa tra i 25 e i 40 anni, sono colpite dalla depressione in misura doppia rispetto agli uomini.

I motivi della depressione nella donna: alcune ricerche psicologiche hanno cercato di rispondere a questa domanda, ed hanno evidenziato nella storia evolutiva della donna:

  • un maggior numero di eventi educativi svalorizzanti, o traumatizzanti
  • una impostazione educativa più coartante per la bambina rispetto ai maschi
  • le madri delle donne depresse, in particolare, sono apparse madri poco affettive,       emotivamente  distanzianti, madri svalutanti, oppure rigide, ossessive e lamentevoli

In questi contesti la figlia femmina sarebbe maggiormente esposta alla relazione materna rispetto al maschio, proprio per il fatto che per la figlia, sua madre rappresenta anche il suo modello femminile di identificazione.

Il maschio, invece vede nel padre il suo modello, e questo lo porta a staccarsi e a distinguersi più facilmente dalla madre.

La figlia femmina rimane molto più legata alla figura materna e dunque sottoposta ad un maggior influsso delle caratteristiche materne.

Tutto questo può diventare ancor più complicato quando la figura paterna, invece di entrare nella relazione fra figlia e madre per contribuire a staccare la figlia, rimane più marginale rispetto a questo rapporto madre-figlia, che a sua volta appare come il rapporto più centrale rispetto al rapporto di coppia dei genitori.

LA DEPRESSIONE POST NATALE

È una vera e propria depressione maggiore, e sicuramente da affrontare con l’aiuto di uno specialista.

Ha una punta massima di insorgenza al 3° mese dopo il parto, e per molte donne rappresenta il primo esordio depressivo che si protrarrà poi lungo l’arco della sua vita attraverso successivi episodi depressivi acuti e cronici.

Si può stimare che ogni anno le donne che soffrono di tale disturbo siano da 50.000 a 75.000, cioè il 10% delle donne che portano a termine una gravidanza.

A questo riguardo, una ricerca sulla depressione post natale da me condotta su un territorio della Provincia di Bergamo (1) ha dato come risultato che circa il 35 % di tutto il campione aveva un rischio da medio a elevato di sviluppare una depressione post natale, ed in particolare, a tre mesi dopo il parto circa l’11% di queste donne risultava positiva ai test sulla depressione maggiore.

COME SI CURA LA DEPRESSIONE

In linea generale i trattamenti principali per la depressione sono di tipo farmacologico, psicologico (psicoterapia, ecc.), oppure la terapia integrata psicofarmaco-psicoterapica, che dà risultati certamente maggiori rispetto a quelli ottenuti col solo farmaco.

In particolare:

  • Nelle situazioni più acute, ad esempio, l’uso degli antidepressivi da spesso ottimi risultati rispetto al suo impiego in situazioni depressive più sfumate, e questo rappresenta anche la riprova dell’importante ruolo giocato dal disturbo neurochimico sottostante in un certo tipo di depressione.
    L’aggiunta della psicoterapia in questi casi comunque migliora e stabilizza i risultati.
  • Nelle depressioni lievi o meno severe, come ad esempio nella distimia, i risultati ottenuti dalla psicoterapia o dalla farmacoterapia sono simili, non evidenziano particolari differenze.
    In questi casi, quando possibile, si può evitare la prescrizione di farmaci e lavorare solamente con uno psicogo specializzato in depressione.

QUANDO LA DEPRESSIONE NON VIENE RICONOSCIUTA O CURATA

La depressione non riconosciuta, e quindi non trattata, espone chi ne è affetto a varie conseguenze negative. La persona depressa può isolarsi, lavorare in modo meno efficiente, trascurare le sue responsabilità.

Soprattutto se giovane, può far ricorso all’alcol o a droghe per cercare di alleviare la sua sofferenza; negli anziani invece, come visto, vi è una frequenza più elevata di ricoveri ospedalieri e di suicidi. In Italia solo il 29% dei soggetti affetti da depressione maggiore ricorre a un trattamento nello stesso anno in cui insorge.

I dati della letteratura riportano che circa il 70% dei pazienti in cura con antidepressivi hanno una buona remissione dei sintomi, mentre circa il 30% non rispondono ad una prima terapia antidepressiva: in tali casi si parla di depressione resistente.

La maggior parte dei pazienti resistenti rispondono alla somministrazione di un secondo antidepressivo o all’ssociazione di due antidepressivi insieme.
Il 3-4% dei pazienti, invece, non risponde ad alcun trattamento farmacologico e in tali casi si parla di depressione refrattaria.

IL PAZIENTE DEPRESSO CON IDEE DI SUICIDIO

Un punto importante da tenere sempre presente riguarda i pazienti con grave depressione e tendenze al suicidio.

Questi pazienti devono essere sempre trattati in prima battuta necessariamente con terapie medico-farmacologiche, oltre che con la psicoterapia, non devono essere lasciati soli e in alcuni casi può essere necessario valutare con il medico di base e lo psichiatra un ricovero ospedaliero.

L’APPROCCIO DEI FAMILIARI AL PAZIENTE DEPRESSO

Un familiare o una persona di sostegno al paziente depresso, deve tentare di costituire con lui un primo contatto emotivo attraverso un atteggiamento empatico, cercando cioè di immedesimarsi un po’ in ciò che la persona dice, comunica, utilizzando cioè le emozioni che noi avvertiamo nel contatto con lui.

Questo contatto empatico può aiutare il familiare a vivere e vedere le cose così come lui le vede senza convincerlo a modificare questa realtà: ciò significa portare il peso in due.

La persona depressa, come ogni altra persona in difficoltà, può avvantaggiarsi del fatto che qualcuno condivida le emozioni e i pensieri penosi, che questo peso possa essere sopportato in due.

Sono da evitare in genere i tentativi di “tirar su il morale” alla persona depressa, o di convincerlo che “la vita è bella”, oppure a spronarlo eccessivamente con esortazioni del tipo: “devi combattere, se vuoi ce la fai”.

Questo passo è fondamentale, perché queste parole o esortazioni possono far sentire ancor più in colpa la persona depressa quando poi realizza che anche lottando non ce la fa.

Il paziente rischierebbe di non sentirsi capito sentendo queste frasi.

La seconda cosa da fare, per quel che sarà possibile, è tentare di comprendere con lui alcuni dei motivi che l’ha condotto ad uno stato depressivo, e che possono andare da motivazioni esterne (aver perso un lavoro, una persona cara) a motivazioni più interiori (una difficoltà a realizzare aspirazioni personali, la perdita di un sostegno psicologico, una fragilità generale della persona, ecc.).

Il passo successivo potrà poi esser quello di aiutare la persona depressa a costruire una maggior indipendenza nella sua vita, a rivedere le proprie aspirazioni riposizionandole in modo più realistico, e poi indirizzarlo verso la ricerca di un aiuto specialistico di tipo medico e/o psicologico a seconda dei casi.

Un percorso di psicoterapia psicoanalitica potrà sicuramente aiutare la persona a superare la sua depressione attraverso una maggiore consapevolezza delle difficoltà soggiacenti al disturbo ed una loro elaborazione positiva.

*(1) Claudio Donadoni, S. Betti, R. Guaiana. “Depressione post-natale: Studio Pilota sui fattori di rischio in un gruppo di donne del Nord Italia”. Minerva Psichiatrica; 48:143-153.


Dott. Claudio Donadoni
Medico, Psicologo Psicoterapeuta

Psicologo bergamo

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